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Davide Rossi

Direttore Centro Studi “Anna Seghers”

Claudio Venza con passione umana, civile e politica, oltre che con metodo storico accurato, segue da anni i rivoli della memoria che rendono viva la più straordinaria esperienza libertaria del Novecento, la stagione delle comuni operaie e contadine, dell’educazione popolare, dei diritti delle donne, una Rivoluzione sviluppatasi tra il 1936 e il 1939, al culmine di lunghi decenni di radicamento dell’idea anarchica in terra iberica. Una Rivoluzione crollata sotto la pesante pressione della guerra civile scatenata da un gruppo di generali reazionari tra cui emergerà Francisco Franco. Questi alla fine, grazie all’aiuto fascista e hitleriano, prevarrà, ammazzando o incarcerando ancora per oltre un decennio tutti gli spagnoli che potessero essere vagamente ricondotti al pensiero anarchico o a quello marxista o in genere progressista. Il suo obiettivo era di estirpare quella che definiva l’ “antiSpagna” distruggendo la Seconda Repubblica. Franco instaurò un particolare regime politico autocratico e autocentrato, certo una dittatura fascista delle peggiori, ma che per alcuni anni non è stata né una repubblica, né una monarchia. Questa ultima fu instaurata di nuovo, e solo come progetto futuro, sul finire della seconda guerra mondiale, quando si impose la volontà statunitense di servirsi di Franco, per quanto ingombrante, nella guerra fredda. In fin dei conti, e dimenticando l’alleanza con Hitler e Mussolini, per gli USA il Caudillo era sempre un dichiarato integralista cattolico anticomunista.

Milioni di repubblicani scappano in esilio. Medici, dentisti, insegnanti, contadini, operai e altri che restano in patria e non possono attestare il loro fascismo, il loro clericalismo, il loro conservatorismo, finiscono, come detto, in prigione o fucilati. Quando negli anni ’50 e ’60 nell’Europa occidentale si moltiplicano le pubblicità dei dentifrici, in Spagna ci sono ancora, come nel medioevo, i cavadenti, migliaia di città sono prive della più elementare assistenza sanitaria di base, i giustiziati degli anni ’40 raggiungono l’impressionante numero di circa 150mila persone. Con Franco accadono episodi incredibili: i proprietari terrieri tornano a mettere ai contadini che raccolgono l’uva nei campi la mordacchia in bocca, quella dei cavalli, perché non la mangino durante il lavoro, mentre il parroco benedice tale pratica, ricordando ai poveri e ai miserabili che devono vivere di pane e acqua, obbedire al padrone che li umilia e li affama, li sfrutta e li calpesta, li violenta e li irride, e confidare nel regno dei cieli. Se i contadini poi non lo capiscono, c’è sempre qualche militare pronto a rifilare loro qualche scoppiettata e mietere quella messe di morti che strozza qualunque ribellione e impone il silenzio, l’ordine e l’obbedienza. Le conquiste degli anni della Repubblica, dall’istruzione all’igiene e all’educazione sessuale, la conoscenza scientifica, l’emancipazione dal monopolio religioso sul sistema scolastico, vengono spazzate via: si torna al più bieco e retrivo oscurantismo. Varrà la pena ricordare, tra le tante vergogne che si stanno scoprendo solo in tempi recenti, una delle più aberranti iniziative franchiste condotta per quarant’anni: i figli delle ragazze non sposate, di famiglie povere e non schierate col franchismo, sono stati sistematicamente sottratti alle madri e assegnati a famiglie abbienti e fasciste attraverso una ramificata rete di cliniche messe in azione da Donna Mercedes di Bilbao.

Dentro questa storia al contempo tragica ed esaltante, Venza cerca di esporre, ad esempio nel bellissimo “Anarchia e potere nella guerra civile spagnola” (Eleuthera, 2010), le ragioni degli anarchici e di restituire il loro considerevole peso nelle vicende spagnole. Un peso vero, concreto e reale, soprattutto nei primi tempi della Rivoluzione nell’estate 1936, ridimensionato mese dopo mese da parte dei comunisti, poco radicati in precedenza, ma forti di un crescente consenso, in ragione del solo reale aiuto che giunge alla Repubblica, quello dell’Unione Sovietica. L’URSS era pronta a fare molto per la Spagna, ma sempre e solo dentro il più ampio progetto e programma del movimento comunista internazionale, volto, dentro l’Europa dei dilaganti fascismi, dall’Italia alla Germania, dalla Polonia all’Ungheria, a salvaguardare e proteggere, prima di tutto e di ogni altra esperienza, la nazione della Rivoluzione d’Ottobre.

Occorre, almeno brevemente, accennare al fatto che poderose opere accademiche, per quanto discutibili (tra cui quella di Gabriele Ranzato, L’eclisse della democrazia, Bollati Boringhieri, 2004), si stanno moltiplicando negli ultimi tempi. Lo scopo è di porre al centro dello scenario politico spagnolo degli anni 1936 – 1939 i rappresentanti socialisti e repubblicani, quasi che il sistema istituzionale e parlamentare fosse lo specchio reale del paese in quegli anni. Nulla di meno veritiero, per quanto non si possa negare il ruolo dei governi di Francisco Largo Caballero e di Juan Negrín, così come di quello catalano diretto da Lluis Companys. La sola forza di rilievo, nel campo socialista, è il sindacato UGT, diviso tra una iniziale adesione ai metodi, rivoluzionari e collettivisti, degli anarchici e un successivo costante ripiegamento sulle posizioni dei comunisti. La Spagna della guerra civile è stata il luogo dello scontro tra il più bestiale fascismo reazionario da un lato e lo schieramento repubblicano, egemonizzato inizialmente dagli anarchici e poi dai comunisti e segnato drammaticamente dallo scontro tra queste due visioni del mondo. Forse non erano del tutto inconciliabili, ma furono segnate in quel contesto da una divaricazione profonda, tanto da pregiudicare, almeno in parte, l’esito finale della guerra civile. In ogni caso ai limitati aiuti sovietici, legati a condizioni di controllo degli apparati più rilevanti, dai comandi militari alla propaganda, si è contrapposto il massiccio intervento di uomini e mezzi dei nazisti e dei fascisti.

La divisione del campo repubblicano è in fondo uno scontro ideologico a livello mondiale. A rappresentare il comunismo ci sono alcuni tra i massimi esponenti dell’Internazionale, da Palmiro Togliatti a Luigi Longo, dal console sovietico a Barcellona Antonov Ovseenko, a quello cileno Pablo Neruda, dagli scrittori del movimento mondiale antifascista, tra cui Anna Seghers, al Soccorso Rosso di Tina Modotti, ai militari come Enrique Lister e ai commissari politici come Vittorio Vidali. Ugualmente il fronte anarchico ha i suoi massimi esponenti internazionali, i quali però, al contrario dei comunisti che possono vantare tra gli spagnoli solo la “Pasionaria” Dolores Ibarruri, sono tutti spagnoli, da Buenaventura Durruti a Angel Pestaña, da Federica Montseny a Juan Peirò, da Francisco Ascaso a Juan García Oliver, questi ultimi quattro anche ministri nel secondo governo di Largo Caballero (novembre 1936 – giugno 1937). Federica Montseny è stata la prima donna spagnola ministro, un quindicennio dopo la prima al mondo, la sovietica Alexandra Michailovna Kollontaj.

È lo scontro tra autogestione e federalismo da un lato e potere al partito e ai soviet dall’altro, a partire ovviamente da quello supremo e moscovita. Eguaglianza economica e libertà politica declinate in modo ben differente: da un lato la pratica partecipativa del sindacato anarchico CNT, dall’altra l’esempio concretamente riuscito dei bolscevichi che, nel dare il potere agli operai e ai contadini, hanno rafforzato il ruolo direttivo dell’avanguardia consapevole dei comunisti, appunto il partito.

Venza spiega come l’interpretazione classica dei marxisti, quella di un radicamento del pensiero e del movimento anarchico in Spagna in ragione di un millenarismo catarchico di vaga ispirazione cristiana, sia molto parziale. Infatti prevale tra i libertari la convinta adesione all’idea del totale abbattimento dello stato, subito, non quale tappa ultima della trasformazione socialista, come sostengono i marxisti. Il maggiore limite tuttavia del movimento libertario è il consenso, sociale e politico: anche nel momento di massima espansione dello stesso – nell’estate 1936 – si può ragionevolmente calcolare che abbracciasse un quarto o forse un terzo degli spagnoli. Mai nella storia, in nessuna nazione, gli anarchici hanno avuto una forza politica e organizzativa di tali dimensioni. Tuttavia, pure questo consenso formidabile e considerevole, sufficiente per una sagace e abile presa del potere di stile leninista, è totalmente insufficiente, come infatti dimostrerà l’evoluzione della guerra con i suoi condizionamenti internazionali, per l’avvento della società senza vincoli e senza poteri, totalmente autogestita, promossa dai libertari.

Anche in questo sta la tragica realtà, non solo rispetto agli esiti disastrosi delle vicende spagnole, ma pur nella sua meravigliosa umanità, dell’esperienza libertaria. La Spagna e i fatti di allora dimostrano che una società libertaria sarebbe possibile solo con un maggioritario o molto diffuso accordo, più che consenso, dei cittadini. Ciò implicherebbe una loro maturità culturale e politica del tutto impraticabile, poiché per gli anarchici non si tratta di raccogliere la delega dei più, ma di coinvolgere attivamente la totalità dei cittadini, convincendoli a diventare protagonisti attivi e fattivi delle trasformazioni da realizzare: un’impresa che rasenta l’impossibile. Non sarà infatti un caso se nel secondo dopoguerra si formano due campi contrapposti, quello del consumismo capitalista e imperialista e quello dei paesi socialisti, fondati su due modelli sociali meno partecipativi di quello libertario, ma capaci di un largo e immediato consenso, di suscitare una fiducia delegante, di avere una efficace applicazione pratica. La fine della Seconda Repubblica spagnola sarà in qualche modo anche il punto finale rispetto a un ruolo rilevante del movimento anarchico mondiale. I comunisti nel dopoguerra, come già in Spagna, si faranno sempre più consapevoli della necessità di coinvolgere quadri tecnici e professionali nella costruzione dei nuovi sistemi sociali. Per gli anarchici in Spagna, per quanto non siano mancati slanci generosi, a tratti eroici, l’autogestione delle fabbriche e dei campi si è spesso rivelata ardua e difficile, a causa anche della fuga di tecnici ed esperti.

La storia della Repubblica e della Rivoluzione è ancora molto altro, che sarebbe lungo raccontare: dai marocchini schierati coi repubblicani per la libertà del loro popolo, al contrario dei concittadini soldati al servizio di Franco, alle donne, alle straordinarie donne libertarie organizzate nelle “Donne Libere”, che meriterebbero pagine e pagine e di cui è meritorio ricordare almeno i nomi delle più importanti, tra di esse l’avvocatessa, già operaia, Mercedes Comaposada, la poetessa Lucía Sánchez Saornil, la dottoressa Amparo Poch, le insegnanti Pilar Grangel e Concha Liaño. Sarebbero da rievocare naturalmente la riforma rivoluzionaria agraria e le comuni campesine, la partecipazione popolare a ogni attività, le mense che sfamano migliaia di persone, le forze armate rivoluzionarie che si sacrificano per ritardare il costante avanzamento dei franchisti, le autonomie basca e catalana, la diffusione dell’istruzione pubblica, che verrà cancellata dalla dittatura, tanto che ancora oggi le scuole pubbliche in Spagna sono meno di quelle cattoliche. Al riguardo si ricordi che sotto Franco per essere iscritti in prima elementare occorreva presentare il certificato di battesimo.

Tutto però, come in un gorgo malefico, viene risucchiato e distrutto ad opera degli aerei e dei carri armati, in larga parte forniti dal nazifascimo europeo, al servizio della causa nazionalista di Franco. Il 1° aprile 1939 il dittatore dichiara terminata la Cruzada, con la spada piantata simbolicamente come una croce nel cuore di migliaia di donne e di uomini ridotti a carne da macello, polvere da dimenticare. Papa Pio XII ovviamente benedice la vittoria dei cristiani, poco importa se in realtà sono dei sanguinari assassini pronti a sghignazzare dell’amore per il prossimo, un concetto a loro del tutto estraneo. Eppure la sconfitta spagnola nulla toglie alla forza della ragione. Gli ideali che hanno animato quella esaltante Rivoluzione terminano schiacciati brutalmente. La Repubblica è abbandonata dalle democrazie parlamentari inglese e francese, ma resta un esempio storico indelebilmente stimolante e attuale.

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One thought on “Spagna 1936 – 1939 Tra Rivoluzione e reazione

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