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Edificazione socialista nell’Asia Centrale

1917 – 1937

di

Davide Rossi

Per gentile concessione di Politica Nuova

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La storia dell’Asia Centrale in generale e massimamente nei primi decenni del Novecento è complessa e affascinante, ricostruire nel dettaglio le vicende dei popoli e delle autorità statuali che si sono succedute sarebbe arduo e ha impegnato gli storici a lungo. È certamente uno spazio geografico rilevante con oltre quattro milioni di chilometri quadrati, stretti tra la Russia siberiana a settentrione, la Persia e l’Afganistan a meridione, a occidente la depressione caspica e il mare omonimo, alimentato dalla potenza della Volga, a oriente la Cina, separata dalle poderose vette dei monti Altaj. Deserti, bassopiani e altopiani a volte verdi a volte brulli, montagne a tratti rigogliose a tratti inospitali compongono un territorio in cui il duplice passaggio del mongolo Cignis Khan, da noi detto Gengis Khan, e due secoli dopo da Timur e-lan, da noi detto Tamerlano, ha influito notevolmente. Tutti gli studi recenti documentano che se è da un lato indubbia la comune radice turcica per le lingue della regione, ad esclusione dei tagichi che parlano una lingua di origine persiana, la tesi di molti commentatori e storici antisovietici secondo cui la divisione della regione in repubbliche socialiste, poi diventate indipendenti con il superamento dell’Unione Sovietica, sia stata una forzatura del potere moscovita non corrisponde ai fatti. È stata piuttosto, come documentato anche dal complesso e approfondito saggio “Stalinismo di frontiera” di Niccolò Pianciola, una richiesta emersa dal territorio e assecondata dai bolscevichi. Le nazioni odierne e un tempo parte dell’Unione Sovietica sono quindi il risultato di questo percorso: Kazakistan, con capitale Nursultan, la nazione che occupa quasi i tre quarti di questa area, Kirghizistan, con capitale Biškek, Tagikistan, con capitale Dušanbe, Turkmenistan, con capitale Aşgabat, Uzbekistan, con capitale Tashkent. Gli abitanti di questa regione, pochi oggi per la vastità del territorio e ancor meno un secolo fa, all’inizio del XX secolo si dividono tra nomadi, dediti alla pastorizia e all’allevamento non stanziale, e sedentari, dediti alla coltivazione principalmente del grano, in particolare i coloni russi insediatisi dalla fine dell’Ottocento attraverso una migrazione delle zone più miserevoli dell’impero zarista, e del cotone, in particolare in Uzbekistan in cui sono impegnati uzbeki, che rappresentano all’epoca in città come Taškent la maggioranza, anche se tutto attorno a questo considerevole insediamento urbano vivono principalmente nomadi kazachi. Due stati islamici si incuneano in questo territorio ancora al deflagrare del primo conflitto mondiale, sono l’Emirato di Bukhara guidato da Seyid Alim Khan, ultimo sovrano al mondo discendente di Gengis Khan e proclamatosi califfo dopo il 1914 con lo scoppio della guerra tra la Russia e l’impero Ottomano in alternativa al sultano turco Mehmet V, e il Khanato di Khiva in cui regna Isfandiyar Jurji Bahadur, due nazioni che solo nel 1920 si trasformeranno nella Repubblica Sovietica Popolare di Bukhara e nella Repubblica Sovietica Popolare di Khorezm, oltre Khiva e le sue mura le terre dei karakalpaki e dei turkmeni, indomiti sui loro cavalli, stretti tra il Caspio e le vette afgane, capaci in qualche modo di rimanere estranei alle complesse vicende che attraverseranno nel decennio successivo, negli anni ’20 del XX secolo, l’Asia centrale. Una vaga idea delle difficoltà della vita quotidiana e dell’asprezza dei luoghi centro-asiatici si può tratte dalle spettacolari immagini girate da Vsevolod Pudovkin nel 1928 in “Discendente di Gengis Khan”, pellicola nota in occidente come “Tempeste sull’Asia”, il capolavoro è stato girato nella Repubblica Autonoma Socialista Sovietica dei Burjati, la repubblica mongolo-sovietica in cui ancora oggi nella capitale Ulan – Ude svetta il volto titanico di Lenin realizzato da Neroda, ci troviamo oltre e al di fuori della regione centro-asiatica, essendo la Burjazia stretta tra la Siberia e la Mongolia, tuttavia una vaga idea della povertà e dell’avversità del clima che hanno certamente accomunato in quell’epoca tanto la regione centro-asiatica, quanto le regioni mongoliche può risultare più chiara. Altra fonte fondamentale per capire i tempi e i luoghi è certamente Sadriddin Ayni, prolifico scrittore nato nei pressi di Buchara nel 1878 di lingua usbeca e tagico-persiana, il quale dopo aver studiato arabo presso la scuola coranica, ha scritto vividi racconti della sua terra, prima di diventare dirigente culturale sovietico in Tajikistan, membro del Soviet Supremo della Repubblica Socialista Sovietica del Tajikistan per vent’anni e primo presidente dell’Accademia delle Scienze tagika. Altra fonte visiva di impattante bellezza e inusitata poesia sono le fotografie a colori, le prime della storia ottenute con più filtri, di Sergej Michajlovič Prokudin-Gorskij, realizzate negli anni immediatamente precedenti il primo conflitto mondiale, raccontano per intero la modesta, ma decorosa, vita dei centro-asiatici.

La parte più consistente del territorio inizialmente è diviso in due parti e chiamato Kirghizia e Turkestan, abitato principalmente dai coloni russi, dai kazaki, dai kirghisi e dagli uzbechi, nonché da una svariata serie di minoranze, tra cui le più rilevanti quelle dei Chakassi al limitare della Siberia e dei baschiri sulle rive del Volga entrambi musulmani, dei calmucchi sul Caspio e dei burjati tra le vette dell’Altaj entrambi buddisti, questi ultimi separati dagli altri burjati dal gruppo mongolo – tuvano di Kyzyl, consistenti ovviamente i gruppi turkmeni e tagiki, ovviamente con una presenza circoscritta alle aree in cui oggi esistono le loro entità statuali.

Fame e carestia accompagnano il tempo di guerra e ancor di più quello della guerra civile, con l’aggravante di distruzioni e depredazioni che attraversano tutto questo territorio, con un’ulteriore complicazione, le masse diseredate kazache aderiscono in molti casi ai gruppi militari reazionari, i coloni russi, desiderosi di strappare ai kazaki anche il poco che hanno e animati da un non edificante razzismo verso le popolazioni centro-asiatiche si schierano con l’Armata Rossa, resta arduo da comprendere, ma l’imperativo della Rivoluzione d’Ottobre: “la terra ai contadini”, nella Russia europea significava distruggere il latifondo e defenestrare i proprietari terrieri, oltre gli Urali la deliberazione dei Soviet è stata utilizzata dai contadini russi per depredare delle loro terre di pascolo le popolazioni nomadi. I bolscevichi, capita l’incongruenza della situazione, hanno cercato subito di porvi rimedio, ma a guerra finita si è creato un ulteriore cortocircuito in cui l’uguaglianza propugnata e praticata andava a vantaggio dei kazachi e dei kirghisi, esclusi al tempo dello zar dal diritto di eleggere rappresentanti alla Duma, ma obbligati a pagare tasse e a sottostare con la guerra mondiale alla leva obbligatoria, penalizzando i contadini di origine russa, i quali per difendere i loro interessi e i loro furti reclamavano a loro sostegno la scelta di campo compiuta durante la guerra civile. Tanto durante la guerra civile, quanto nel precedente conflitto mondiale. kazachi e kirghisi erano stati poi depredati oltre che delle terre, anche delle yurte, le tende tradizionali, portate dagli zaristi sul fronte per ospitare i soldati, e ne chiedevano ora a Lenin la restituzione, così come delle sterminate colline per i pascoli sottratte dai coloni russi. Il potere sovietica organizza così tempestivamente gruppi di giovani comunisti musulmani, spesso con studi a Mosca e Pietrogrado, appoggiandosi a loro per l’edificazione di una nuova società socialista, ardua da costruire in presenza di diffusa miseria postbellica, radicato analfabetismo, assenza di infrastrutture, dall’elettricità, ai telefoni e telegrafi, alle ferrovie. Una impresa impervia nel momento in cui violenze, assassinii e saccheggi a opera dei russi proseguono contro kazachi e kirghisi, in nome di una presunta e auto-dichiarata compensazione per i danni della guerra civile. Solo sul finire degli anni ’20 il Partito Comunista riesce ad appianare i conflitti, di fatto in concomitanza con la nascita delle repubbliche autonome i cui confini sono quelli odierni tra le cinque repubbliche centroasiatiche. Per altro la maggiore preoccupazione di Mosca è quella di aumentare la produttività agricola e mineraria, per sostenere lo sviluppo industriale e sfamare le città, la lotta contro i contadini ricchi in questa macro-regione, ancorché dura, è stata necessaria visti gli ammassi accatastati di nascosto dai produttori, in più la fondazione di nuove città come Karaganda, nei pressi delle miniere di carbone, al pari di Magnitogorsk e molte altre, è chiamata a garantire un generale progresso, ma necessità di sostegno logistico e alimentare. La necessità di sostenere l’industrializzazione promossa dal primo piano quinquennale 1929 – 1933 ha obbligato a raccogliere il grano in eccedenza per sfamare le città e in un primo tempo, seppur dolorosamente, a scambiarlo con pellicce e altre ricchezze con l’Occidente in cambio dei macchinari per avviare l’industrializzazione, come il film-documentario di Dziga Vertov “La sesta parte del mondo”, un vero e proprio approfondimento antropologico e sociologico dell’Unione Sovietica del 1926, di rara bellezza e importanza, ha narrato.

Ad aggravare la situazione nel 1931 era occorsa anche la necessità di portare parte del bestiame kazaco in Russia per sopperire alla criminale azione dei kulaki, i contadini ricchi che, per impedire la nascita dei kolchoz, le fattorie collettive, in molti casi hanno ucciso gli animali impedendone l’assorbimento nelle nuove unità produttive, tuttavia è questa l’epoca eroica in cui le masse kazache, acquisendo consapevolezza del loro ruolo storico, diventano “rabsila”, ovvero “rabočiaja sila”, forza lavoro, capace di costruire la propria emancipazione. Più si eradica infatti la passata società feudale, più aumentano i kazachi e i kirghisi che passano a lavorare nell’apparato statale, dall’esercito alla scuola, con maestre e professori autoctoni, così come nelle industrie e nelle miniere, offrendo un contributo determinante nell’edificazione di una poderosa industrializzazione che avrebbe proiettato l’Unione Sovietica nella modernità e le avrebbe garantito i mezzi per prima difendersi dall’aggressione nazifascista e poi sconfiggerla, con un sacrificio di oltre venti milioni di caduti.

Nelle terre kazache la campagna per la sedentarizzazione di parte dei nomadi e quindi il recupero di parte dei terreni adibiti a pascolo per la coltivazione, dopo una prima restituzione, massimamente di grano, si è scontrata, in quegli anni, con stagioni secche d’estate e particolarmente rigide d’inverno, un disastro ecologico e climatico che ha portato alla carestia e alla fame, peggiorate dal vaiolo e dal tifo, ma nulla a che vedere con una premeditata scelta politica volta a realizzare uno scenario di crisi umanitaria, come purtroppo ancora oggi, nonostante la mole dei documenti resi accessibili dagli archivi russi, kazachi, uzbeki e kirghisi, alcuni storici malevoli insistono a sostenere, insieme ad alcuni politici interessati alla disinformazione, attribuendo il milione e mezzo di morti non a drammatiche contingenze, ma a deliberate scelte del potere sovietico. Non sono mancati certo inoltre i gruppi di poveri che elemosinavano un tozzo di pane, migliaia di bambini abbandonati, situazioni di drammatica disperazione, ma a tale situazione si è cercato di porre rimedio inviando gli indigenti dove necessario, nei campi di riso, di grano, di cotone, nelle miniere, a Magnitogorsk dove giovani del Komsomol e giovani volontari di tutto il mondo, tra cui alcuni della KPD tedesca, tra loro il diciannovenne Erich Honecker che sempre ricorderà con emozione quell’avventura durata un anno, edificano la città e l’acciaieria più grande del mondo, per altro il cammino di emancipazione femminile in Asia Centrale non è mai arretrato, neppure in questi anni difficili e il ricordo di donne armate di bastoni che protestano contro la scarsità di cibo invadendo i Soviet locali e malmenando i funzionari trovati presenti è restituita in tutta la sua vividezza da molti resoconti spediti a Mosca.

A sostegno dell’eccezionalità degli anni del primo piano quinquennale, vi sono gli incrementi di produttività e di capi di bestiame legati al secondo (1933 – 1937), un aumento considerevole di lavoratori dei kolchoz, un ripensamento rispetto agli eccessi della campagna di collettivizzazione, così come una riduzione per volontà di Stalin della campagna antireligiosa, dopo aver stroncato negli anni precedenti quei settori dell’Islam e della chiesa ortodossa dichiaratamente ostili al potere bolscevico. Piuttosto si assiste a una riapertura delle chiese e delle moschee e a un incessante pellegrinaggio a Turkistan, presso il mausoleo di Khoja Ahmed Yasawi, voluto da Tamerlano nel 1389 e terminato un decennio dopo. Grande sviluppo ha la scuola pubblica che di giorno in giorno soppianta la rete di scuole coraniche, le sole a cui accedevano i centro-asiatici, così come enorme successo hanno le attività delle “yurte rosse”, le tende mobili di promozione di insegnamenti basilari di medicina e igiene personale, accompagnate dalle prime campagne di vaccinazione contro le più gravi malattie. Un utile paragone può essere svolto per quanto accaduto negli stessi anni nella concomitante repubblica kirghiza, in cui il maggior numero di terreni coltivabili e di animali di allevamento, insieme a condizioni meteorologiche più favorevoli, hanno permesso di evitare la drammatica mortalità realizzatasi in Kazakistan.

Il secondo piano quinquennale si è anche avvantaggiato del ristabilimento di un numero elevato di kolchoz, unificati durante il primo piano per mancanza di bestiame, di attrezzatura e di sementi necessarie per un sereno lavoro. Le unificazioni tra l’altro avevano riportato alla luce la permanenza di atteggiamenti a volte razzistici dei russi verso i kazachi, tanto che alcuni kolchozniki di origine kazaca erano andati a ingrossare le file dei disoccupati. Anzi, l’inizio del secondo piano vede un intervento diretto di Stalin per correggere alcuni problemi di cui avevano responsabilità altri dirigenti bolscevichi, innanzitutto si è provveduto a dotare di ottanta chili di sementi, cibo e foraggio le famiglie kazache, secondariamente, visti i modestissimi esiti del trasferimento di kulaki ed elementi antisociali in Siberia e Kazakistan nel corso del 1932 nel quadro del dissodamento delle terre vergini, il progetto, dopo aver portato poco più di centomila persone in ciascuna delle due regioni, viene bloccato, il Commissario del Popolo Jagoda aveva invece immaginato di muovere dalle zone sovietiche a ovest degli Urali ben due milioni di persone e sarà questo fallimentare progetto una delle cause che porterà alla sua rimozione.

Il primo ventennio rivoluzionario ha visto quindi nella regione centro-asiatica svilupparsi epocali cambiamenti, vincere drammatiche difficoltà, costruire le prime tappe di una società nuova, la Seconda Guerra Mondiale, il trasferimento di molte aziende e di molti cittadini oltre gli Urali durante il conflitto saranno un ulteriore elemento di novità e di trasformazione, innescando una nuova stagione della storia dell’Asia Centrale.

Per chi sia interessato a consultare le fonti sul tema, consiglio di andare a Mosca al Российский Государственный Aрхив Cоциально-политической Истории, in sigla RGASPI, Archivio Russo di Stato per la Storia Sociale e politica, già Istituto MEL Marx – Engles – Lenin, sito in ulitsa Bolšaja Dmitrovka con entrata sotto i ritratti dei padri del socialismo scientifico, sull’altro lato del palazzo, verso la Tverskaja, si trova ancora il monumento a Lenin.

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