Christian Petzold con “Transit” riporta Anna Seghers al cinema
di
Davide Rossi
Anna Seghers passa tra gennaio e marzo 1941 giorni intensi e drammatici, sferzati dal freddo, dalla pioggia e dal vento dell’inverno marsigliese, fatto di onde agitate e grigi orizzonti. Sta scappando con la sua famiglia dai nazisti, cerca la salvezza in un esilio che la porterà, come molti antifascisti, in Messico.
Di quei giorni restano le intense e struggenti pagine del romanzo “Transito”, un libro capace di vincere il tempo perché unisce due temi, l’amore e la fuga da circostanze oppressive, capace di risultare di immediata vicinanza per un pubblico vasto, maggiore rispetto a un romanzo più profondo e più bello, ma più complesso e difficile, come ad esempio “I morti restano giovani”, monumentale rappresentazione di trent’anni di storia tedesca.
Le vicende di “Transito” sono abbastanza semplici, un antifascista tedesco scappa da un campo di concentramento e a Parigi, mentre stanno arrivando i nazisti, conosce lo scrittore Weidel che si suicida. Decide di lasciare le carte di questi all’ambasciata messicana, che ha offerto allo scrittore un visto per un soggiorno permanente, ma qui viene scambiato per lo scrittore stesso e inizia così, raggiungendo Marsiglia, un cammino tra due identità, la nuova e la propria, che lo metteranno casualmente in contatto con la vedova, Marie, donna bellissima e affascinante, che nel frattempo, sempre alla disperata ricerca del marito, condivide i suoi giorni con un medico anch’egli in fuga dalla barbarie. Marie scopre che tra le strade di Marsiglia si muove suo marito, non sa che quel marito altri non è che la seconda identità di Seidler e lui non riuscirà a dirglielo. Marie, una volta che i consolati messicano e statunitense le confermano che suo marito sarà sulla nave in partenza per la Martinica, decide di partire per poterlo finalmente riabbracciare. Seidler, che ha tutti i documenti per partire, quando capisce che Marie ama solo il morto, decide di restare. Marie alla fine troverà davvero il marito, nel profondo del mare insieme ai passeggeri della nave su cui viaggiava. Anna Seghers, suo marito e i suoi due figli in Martinica e in Messico riusciranno invece fortunatamente ad arrivare.
Il regista Christian Petzold, facendo ampio uso di pagine e pagine di Anna Seghers, letteratura di autentica bellezza, realizza quello che in italiano è titolato “La donna dello scrittore”, in tedesco il più corretto “Transit”, il contesto della fuga dai nazisti è trasposto con qualità nel tempo presente e in una estiva e luminosa Marsiglia, che – quando è baciata dal sole – è una delle più belle città del Mediterraneo, accuratamente restituitaci dalla fotografia del film.
Le vicende dei quattro protagonisti, Marie, i due uomini che la amano e quello che lei cerca e non c’è più, potevano essere trasposte abbastanza fedelmente. Il regista invece ne ha scelto una rivisitazione personale che, se in pochi casi risulta riuscita e fortunata, in molti altri, soprattutto nella seconda parte del film e negli ultimi fotogrammi, appare forzata e più macchinosa delle lineari, ancorché complesse, e affascinanti pagine seghersiane.
Il risultato finale è modesto, tuttavia è importante e meritorio che una delle più grandi scrittrici tedesche del Novecento, Anna Seghers, comunista e fondatrice della DDR, come tanti altri suoi amici intellettuali a partire da Bertolt Brecht, rientrati in Germania dopo l’esilio
per riscattare la lingua e la cultura tedesche oltraggiate dalla vergogna del nazifascismo, torni a essere soggetto cinematografico.
L’opera di Christian Petzold riporta sugli schermi Anna Seghers dopo che nel 1991 René Allio, regista marsigliese, aveva realizzato una trasposizione cinematografica molto fedele di “Transit”. René Allio aveva incontrato la scrittrice prima della sua scomparsa a Berlino e Anna Seghers aveva autorizzato il progetto, tanto che durante le riprese nel 1990 sul set era presente, come consulente, Pierre Radvanyi, il figlio della scrittrice che con la madre, lui allora quindicenne, aveva vissuto quei lontani mesi a Marsiglia.
È auspicio che questo ritorno al cinema di Anna Seghers possa portare alla riscoperta non solo dei suoi romanzi, ma anche dei film dalle sue opere tratti, realizzati principalmente in Unione Sovietica e in DDR, il primo è stato “La rivolta dei pescatori di santa Barbara” a opera di Erwin Piscator, girata in Unione Sovietica nel 1934 e le ultime sono state prodotte per la televisione della DDR alla fine degli anni ’80.