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Davide Rossi

Nato in Martinica nel 1925, a vent’anni è congedato con merito al valor militare dall’esercito francese per aver combattuto per la Liberazione d’Europa dal nazifascismo. Rientrato ai Caraibi, partecipa alla campagna elettorale per l’elezione del suo professore Aimé Césaire, quale deputato del Partito Comunista. Terminati in Francia gli studi universitari in medicina e psichiatria, è convinto dal razzismo dei francesi a trasferirsi in Algeria a Blida, poco fuori Algeri, dove arriva alla fine del 1953, un anno prima che il popolo algerino si ribelli al colonialismo francese. Per Fanon è il momento di una scelta radicale, internazionalista e fratello di ogni popolo oppresso, diventa a tutti gli effetti parte della dirigenza del Fronte di Liberazione Nazionale e rappresentate dell’Algeria in molti contesti diplomatici.

Prima che la leucemia lo sottragga alla vita l’anno seguente, nel 1960 Fanon, da ambasciatore del governo provvisorio algerino, svolge un lavoro straordinario costruendo una fitta rete di relazioni capaci di connettere tra loro le lotte del continente, alle quali contribuisce, al pari di N’Krumah e di Lumumba ad apportare un fondamentale e originale contributo teorico. In quell’anno Fanon è a gennaio a Tunisi, a febbraio al Cairo, ad aprile ad Accra dove incontra Lumumba e tutti gli altri dirigenti rivoluzionari alla Conferenza per la pace e la sicurezza in Africa, quindi, nello stesso mese a Conakry in Guinea per la Conferenza Afroasiatica, ospite di Ahmed Sékou Touré, e ancora ad agosto in Repubblica Democratica del Congo in sostegno al governo Lumumba sotto un’aggressione permanente che porterà l’esperienza congolese a un tragico epilogo e successivamente in Marocco e in Mali, non solo per scambi con il nuovo governo indipendente, ma anche per visitare, per l’ultima volta, l’Algeria nel suo confine meridionale, fornendo materiale militare, medico e alimentare ai combattenti della lotta di Liberazione. Solo la malattia gli impedirà di incontrare Fidel Castro, Ernesto Che Guevara e gli altri rivoluzionari cubani all’Avana, dove avrebbe voluto essere destinato come ambasciatore dopo aver assolto all’incarico in Ghana.

Scrive diversi libri, tra i tanti, “I dannati della terra”, con prefazione di Jean Paul Sarte. Fanon è il primo ad analizzare il processo di decolonizzazione dal punto di vista sociologico, filosofico e psichiatrico, ci ricorda che il razzismo è parte dell’oppressione sistematica di un popolo aggredito nei suoi valori e si accompagna a un progetto di assoluta spersonalizzazione attraverso cui l’arabo, l’africano, l’asiatico, diventano alienati cronici, resi stranieri nel loro stesso paese ed estranei al loro stesso ambiente natale.

Fanon constata la debolezza dei partiti d’ispirazione marxista di Africa, Asia e America Latina. Siamo alla metà degli anni ’50, a questi contesta l’esasperato dogmatismo, la deriva operista, quando non operariolatra, in contesti prevalentemente contadini. La supponenza di questi piccoli partiti comunisti relegava a un ruolo marginale i marxisti, anche per un atteggiamento dottrinario nei confronti delle religioni. Fanon capisce benissimo, meglio di chiunque altro, la necessità di dialogo tra marxismo e Islam, tanto da cambiare il suo nome in Ibrahim Omar e abbandonare l’occidentale Frantz, anche se coloro che ripropongono oggi il suo pensiero fanno finta di dimenticarselo, forse per pregiudiziale e voluta omissione. Fanon invece compie una scelta radicale nella quale la religione come identità personale e collettiva del popolo algerino è da lui accolta come parte di una identità che non nega, ma anzi riafferma la dimensione politica e marxista del suo agire. Il socialismo arabo, da Nasser a Gheddafi, tenterà un incontro tra religione musulmana e pensiero socialista, ma non si raggiungerà mai la radicalità e la profondità proposta da Fanon. In America Latina ci sarà l’enorme contributo della Teologia della Liberazione, capace di restituire al cristianesimo una dimensione radicalmente rivoluzionaria. Non solo teologi come Frei Betto e Leonardo Boff meritano di essere ricordati, ma anche padre Camillo Torres capace di scegliere la lotta armata in Colombia e il fondamentale e rilevantissimo percorso compiuto dai cattolici progressisti cileni, uno degli elementi decisivi nella vittoria dell’Unità Popolare di Salvador Allende.

Tornando all’epoca di Fanon, saranno prima l’esempio della vittoria della Cina Popolare e poi i Non Allineati, forti dell’esperienza socialista dei partigiani jugoslavi, a offrire ai rivoluzionari di tutto il mondo un’alternativa marxista capace di partire dal mondo contadino. I sovietici, fintanto che ci sarà Crusciov, manifesteranno un certo ritardo nel comprendere la necessità di una interlocuzione forte con le nazioni in lotta per la loro indipendenza. Certo, nelle situazioni estreme non si sottrarranno, come nell’appoggio al congolese Patrice Lumumba, seppur tardivo, ma non coglieranno per intero la portata del cammino emancipatore dei popoli di Africa, Asia e America Latina. La stessa alleanza stabilita tra Unione Sovietica ed Egitto di Abdel Gamal Nasser è più frutto di contingenze tattiche, piuttosto che di una nuova strategia. Sarà imprescindibile la vittoria della Rivoluzione cubana e la sua adesione al campo socialista, perché grazie al dialogo con Fidel Castro, la dirigenza sovietica, soprattutto in epoca brezneviana, cambi radicalmente atteggiamento, passando a un sostegno attivo dei movimenti di lotta per l’indipendenza, si pensi all’Angola e al Mozambico, all’epoca ancora vittime del colonialismo portoghese, così come di realtà quali l’African National Congress di Nelson Mandela in Sudafrica, così come a un quadro di intensa collaborazione con le nazioni che intendano orientarsi a uno sviluppo socialista, per rimanere in Africa, dal Ghana di Kwane N’Krumah all’Algeria stessa, alla Repubblica del Congo, dall’altro lato del fiume, mentre la terra di Lumumba sprofonda nella dittatura filo-occidentale e predatrice di Mobutu.

Fanon giudicava, con molte ragioni, l’esigua classe operaia algerina, concentrata nelle città mediterranee e inserita, se non del tutto integrata, nel contesto di collaborazione con i colonizzatori francesi, a suo modo una aristocrazia operaia priva di coscienza di classe, anzi, per molti aspetti ostile alle masse contadine dell’entroterra che erano poi quelle capaci di offrire combattenti e supporto logistico alla lotta di Liberazione. Tale analisi è certamente aderente al dato storico dell’Algeria del tempo, ma suonava spiacevole per i comunisti italiani e francesi. Fanon è stato allora aspramente criticato da questi per aver sottovalutato il ruolo del partito nelle trasformazioni rivoluzionarie. Marxista eterodosso, certamente, ma per molti aspetti profetico, capace di cogliere nell’aristocrazia operaia e nella contraddizione Nord/Sud del pianeta due temi attualissimi, presenti nella riflessione di quei partiti comunisti odierni più conseguentemente marxisti, non certo in quelli che oggi non sanno distinguere tra diritti sociali e diritti civili e sulle necessarie priorità.

Oggi i marxisti occidentali più avvertiti sanno bene come l’Occidente viva un declino non reversibile, frutto dell’impossibilità di perpetuare il furto di materie prime energetiche e alimentari del sud del mondo, a fronte di nazioni emergenti come la Cina, che pagano dieci volte ciò che gli occidentali comperavano fino a ieri a prezzi irrisori. Fanon aveva già allora compreso benissimo come il benessere occidentale avesse radici maggiori nello sfruttamento delle ricchezze e della manodopera di Asia, Africa e America Latina: “Quest’opulenza europea è letteralmente scandalosa perché è stata edificata sulle spalle degli schiavi, viene in linea retta dal suolo e dal sottosuolo di quel mondo sottosviluppato. Il benessere e il progresso dell’Europa sono stati edificati col sudore e i cadaveri dei neri, degli arabi, dei nativi americani e degli asiatici.. … Quel che conta oggi, il problema che sbarra l’orizzonte, è la necessità di una ridistribuzione delle ricchezze. L’umanità, sotto pena di esserne sconvolta, dovrà rispondere a questa domanda.

Occorrerà prima o poi riflettere criticamente rispetto ai movimenti contestatari e della sinistra extraparlamentare europea sviluppatisi con il Maggio Francese del 1968. Tali movimenti, infatti, da un lato hanno volutamente indebolito le forze marxiste organizzate nei partiti comunisti, dall’altro, con il loro spontaneismo massimalista, spesso sovrapposto a un superficiale maoismo, hanno contribuito al misconoscimento del campo socialista, dimenticandone il ruolo svolto nel decennio degli anni ’70 a sostegno dei paesi di nuova indipendenza di Africa, Asia e America Latina, hanno manifestato solidarietà certo per il popolo vietnamita in lotta contro l’imperialismo, ma non sono mai stati in grado di sviluppare una concreta critica dello sfruttamento del Nord sul Sud del pianeta, totalmente incapaci di accorgersi di quanto il miglioramento delle condizioni di vita della classe operaia e di tutti i cittadini del campo occidentale fosse il risultato del furto delle materie prime energetiche e alimentari e hanno promosso sovente un operaismo scaduto in operaiolatria,. Si è creato allora tra i marxisti quel cortocircuito tra Europa e resto del mondo che è ancora del tutto evidente oggi, quando un comunista angolano e un comunista indiano giudicano i lavoratori occidentali totalmente parte dell’aristocrazia operaia funzionale agli interessi delle classi dominanti transnazionali e molti comunisti europei non colgono le ragioni profonde di questa analisi.

Si può quindi ben dire che un maggiore studio del pensiero di Ibrahim Omar Fanon avrebbe permesso, sia ai partiti comunisti europei, sia al variegato arcipelago della sinistra extraparlamentare, di analizzare con maggiore acutezza marxista fenomeni che mostravano tutte le loro criticità già nel tempo della Guerra Fredda e che sono diventati dirompenti nell’attuale quarto di secolo che la ha seguita, portandoci al tempo presente. Alla luce di queste analisi il multipolarismo può risultare allora come la costruzione di un mondo fondato su relazioni statuali rispettose, in cui lo sviluppo delle singole nazioni non è estraneo o antitetico, ma anzi inevitabilmente congiunto a un generale processo emancipativo delle classi lavoratrici dei singoli paesi.

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