di
Davide Rossi
Con scrupolo e scientificità l’antropologa Liza Candidi affronta la storia del passaggio dal socialismo al capitalismo in DDR con partecipazione umana e attenzione sociologica. Il suo libro “Spazi della memoria nella Berlino post-socialista” pur piegandosi in apertura all’approccio monodimensionale imposto in tutte le università europee, che obbliga ad accettare l’idea, scarsamente fondata, di interpretare le organizzazioni statuali socialiste del Novecento come poco democratiche, riesce, pagina dopo pagina, a scardinare il monolitico e monumentale pregiudizio antisocialista, dando voce ai cittadini tedesco-orientali. Emerge allora la DDR per come è stata e soprattutto conferma la tesi da me espressa in “Berlino tra Ostalgie, Muro e città socialista” che esistano due città, quella dell’Ovest e quella dell’Est, due Berlino non conciliabili e non conciliate, in cui chi è nato da una parte cerca di vivere senza andare nell’altra, chiarissima al riguardo una testimonianza raccolta dall’autrice: “Est è est e ovest è ovest, io all’ovest non ci vado volontariamente”. Il libro conferma anche come la retorica strumentale e falsa di un popolo tedesco orientale tutto entusiasta dell’arrivo del capitalismo, come ci viene costantemente ripetuta, sia quanto mai non aderente alla realtà. La cancellazione urbana dei monumenti, a partire dal Palazzo della Repubblica, dove i tedesco-orientali cenavano, assistevano a mostre e concerti, si sposavano e festeggiavano anniversari e ricorrenze, così come di tanti altri luoghi della città è la più concreta aggressione del capitalismo, peccato la studiosa non dedichi qualche pagina al meraviglioso e amatissimo Stadio del Festival Mondiale della Gioventù, ma certo non la più violenta, essendo l’aggressione culturale all’universo valoriale socialista praticata da un quarto di secolo con ogni mezzo, dal peggioramento delle condizioni di vita al bombardamento mediatico-culturale. La DDR è stata infatti sostituita “da un ordinamento giuridico e politico del tutto differente, basato su un sistema sociale ed economico orientato ai principi per certi versi opposti a quelli in cui erano cresciuti” i cittadini tedesco-orientali. La prevaricazione contro la solidarietà, l’egoismo, l’individualismo e il consumismo contro ogni visione collettiva e orientata alla giustizia sociale. Tutti i valori di un’etica socialista, come l’aiutare il vicino, il non sprecare, il risparmiare, non sono compresi e sono pure irrisi dagli occidentali nella loro tipica alterigia, nella loro supponente e autoproclamata superiorità. La disoccupazione, l’uomo ridotto a merce e a variabile di mercato, anche per chi non credeva all’informazione socialista quando spiegava le aberrazioni del capitalismo-consumismo sono diventate, anno dopo anno, realtà. L’iniquità del liberismo non ammette rispetto delle vite e delle persone. Dalle interviste emerge un patrimonio sociale fondato sulla disponibilità all’aiuto, sull’assenza di criminalità, sulla sanità gratuita, sulla tutela delle donne, su spese per il cibo irrisorie e affitti di pochissimi marchi, conquiste che relegano marginalmente le rigidità burocratiche, amministrative e securitarie dello stato socialista. Il rammarico e la delusione per quanto di bello e di importante si è perso, diventa giustificata rabbia quando, a venti e più anni dall’annessione della DDR il nuovo governo unitario decide di “introdurre” in Germania la raccolta differenziata dei rifiuti e nuove forme di assistenza sociale, sbandierando sui giornali e in televisione di ispirarsi ai modelli scandinavi, quando in realtà tanto la raccolta differenziata quanto una capillare assistenza sociale erano praticate dalla DDR. Reintrodurre pratiche socialiste senza riconoscere che si è sbagliato a eliminarle e anzi facendo finta che non siano mai esistite in DDR irrita e indispettisce profondamente coloro che constatano amaramente come la memoria della loro nazione sia costantemente denigrata e violentata. Alcuni intervistati constatano che per avere rapporti più umani e solidali sarebbe necessario avere di nuovo “il muro e i collettivi”. In molti intervistati emerge il pesante rammarico di essersi accorti troppo tardi di quello che avevano perso.
Esiste nella Germania attuale un quinto della popolazione che è stato deprivato della nazione nella quale è nato e cresciuto, una nazione orientata ai valori della solidarietà e dell’eguaglianza. È stata un’annessione in cui i vincitori hanno imposto con violenza ai vinti le loro regole e i loro valori. È stata un’operazione brutale e umanamente deprecabile. Alla fine della lettura del libro, il pensiero corre alla riunificazione della Corea. Le parole dei tedesco-orientali dovrebbero valere come profondo ammonimento, perché il popolo coreano-popolare, che ho ben conosciuto, ha sentimenti orientati alla socialità ancor più forti di quello tedesco orientale. La Corea può e deve riunificarsi, ma nel rispetto dei modelli sociali e culturali, ogni prevaricazione sarebbe tremendamente più tragica di quella tedesca, raccontata con puntuale attenzione da Liza Candidi.