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LocarnoFF_2013di

Noemi Lanzani

 

Il festival del film di Locarno è un appuntamento importante, un rito che non ha bisogno di essere presentato. Tutti sanno che c’è. Tutti sanno di doverci andare. Quest’anno per la prima volta ha attratto anche me, perché è come un uragano che risucchia tutto ciò a cui si avvicina e nessuno riesce a tirarsi indietro. Si tratta di un vortice irrefrenabile che fa il giro del mondo raccogliendo i sogni più onirici, i progetti irrealizzabili e anche di più e le idee più folli, per frullarle tutte assieme in modo unico e ineguagliabile. Locarno raggiunge la sua massima potenza e in dieci giorni si scatena liberando stelle di pura bellezza. Così perde ogni sua energia, lasciando dietro di sé un magnifico cielo stellato, per chi vorrà sognare ancora. Silenzioso quindi si allontana, per ripartire, ricominciare da capo la sua ricerca per il mondo di immagini dal mondo.

Tra i film visti alcuni, in questo turbinio emotivo, meritano di essere ricordati, a partire dalla piazza grande, che ha come tetto il cielo stellato, sebbene a volte punteggiato da ingenerosa pioggia. “Sur le chemin de l’école” di Pascal Plisson racconta la grande volontà e determinazione di ragazzi del sud del mondo, Patagonia, Marocco, Kenia, India, i quali camminano per ore, ogni giorno, pur di raggiungere la scuola, “Les Grandes Ondes (à l’Ouest)” di Lionel Baier racconta la straordinaria Rivoluzione dei garofani portoghese del 1974 con gli occhi ingenui di un gruppo di giornalisti svizzeri, resta in Svizzera “L’expérience Blocher” docu-film dedicato al pessimo politico elvetico che da anni semina liberismo, razzismo e intolleranza, infine “La variabile umana” dell’italiano Bruno Oliviero, un poliziesco girato in una Milano fotografata con maestria. Dedicato alla scuola anche il migliore film del concorso: “Tableau noir” di Yves Yersin, storia di una scuola di montagna del cantone di Neuchatel, destinata a chiudere per i tagli all’istruzione che colpiscono pure la vicina Svizzera.

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