nel 50° anniversario della morte
di
Davide Rossi
Direttore Centro Studi “Anna Seghers”
Nella mia qualità di direttore del Centro Studi “Anna Seghers” rendo qui oggi omaggio, nella terra ticinese dove è spirato cinquanta anni fa, ad Hermann Hesse e ringrazio Jean Olaniszyn, fondatore del museo dedicato allo scrittore, di aver accolto il mio proposito e avermi accompagnato in questa giornata.
Il grande scrittore ha meritato certo il premio Nobel per la letteratura e non vi è stato anno più appropriato per riconoscergli l’ambito titolo del primo del secondo dopoguerra, il 1946.
Egli infatti è il precursore, sotto ogni aspetto, nei suoi libri scritti tra le due guerre, del più profondo sentimento, del più diffuso modo di essere dei cittadini occidentali, della società assuefatta più o meno consapevolmente al consumismo capitalista.
Egli è l’assoluto inventore di una dimensione micro – critica, priva di qualunque reale efficacia trasformativa, anzi, per il suo profondo individualismo, contigua se non addirittura essenzialmente partecipe del modo di essere occidentale, pur velatamente contestandolo.
L’esistenzialismo hessiano è in effetti un punto forse non arrivabile e in ogni caso una sintesi tra le più alte di un modo di essere e di pensare che ha permeato l’Occidente del secondo dopoguerra, di più, ne è stato la sua profonda essenza.
L’uomo occidentale grazie ad Hesse praticava e pratica, si riconosceva e si riconosce nell’esclusiva ricerca della soddisfazione personale e interiore, nella fuga nel privato, in quello che Guicciardini aveva chiamato “il proprio particulare”, nella ricerca di una dimensione etico – religiosa privatistica, autonoma, autoreferenziale, nella pace vissuta non come valore assoluto, ma come dimensione indispensabile per la libera espressione dell’individuo, svincolato da ogni ragione più ampiamente sociale. Si pensi in Hesse al mito dell’India, delle sue culture, del suo ascetismo, della sua ricerca interiore
, che, privato dello spirito comunitario indiano e trasposto in Occidente, chiude ogni porta ad un sentire e ad un agire collettivo. Tale pensiero si radica nella società occidentale e si diffonde negli anni ’60 dello scorso secolo, grazie all’opera tra gli altri dello scrittore tedesco.
Ecco per quanto io mi senta del tutto lontano da questa dimensione umana, poetica, letteraria da lui espressa, per quanto mi riconosca in un ben differente agire e sentire l’urgenza letteraria, non a caso dirigo un Centro Studi dedicato ad una grande tedesca, convintamene e conseguentemente marxista, non posso non riconoscere, anzi riconosco per intero ad Hermann Hesse il merito di aver colto, soprattutto nei due libri “Siddharta” del 1922 e “Narciso e Boccadoro” del 1930, con una genialità precorritrice dei tempi, l’uomo che sarebbe venuto dopo. Certo alcuni possono dire che egli è stato in parte forgiatore di quell’uomo individualista, e sicuramente a ragione, ma io credo che attraverso la sua grande intelligenza e sensibilità Hesse abbia compreso, prima di molti, ben prima di molti altri, in particolare della sua parte letteraria e politica, che allora tra le due guerre si dibatteva generalmente dentro un approccio nazionalistico, quale sarebbe stato lo sviluppo della società occidentale futura.
Non credo in alcun modo che, come faceva Vasudeva in “Siddharta”, ascoltando il fiume si possa trovare la pace, e forse nemmeno gli indiani, a cui troppo spesso si è attribuito un irenismo di matrice europea, lo credono, ma sono assolutamente convinto che questa dimensione privatistico – individualistica, che io chiaramente respingo e rifiuto, sia stata per lungo tempo – e in parte ancora oggi sia – l’anima profonda dell’Occidente. Un’anima che Hermann Hesse aveva capito e colto con una lungimiranza straordinaria. Negarlo sarebbe uno stupido arroccamento ideologico. Per questo, pur nella più assoluta distanza dal suo pensiero, sento di dovere, qui e in questa circostanza, rendere omaggio al genio umano e letterario di Hermann Hesse.
Grazie
Montagnola, Canton Ticino – Svizzera, 8 novembre 2012
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