di
Davide Rossi
Rionero in Vulture, tra meravigliose colline lucane, non lontana dalla Melfi federiciana, è terra dell’italiano Giustino Fortunato, che ha provato a costruire un sentimento solidale tra nord e sud, così come del brigante Carmine Crocco, esempio, come spiegano i libri di Pino Aprile, di una persona che ha difeso, come gli altri briganti, i suoi concittadini dalla vergognosa aggressione del nord, il quale, con l’unità d’Italia, ha imposto tasse, fame, ridimensionamento o chiusura delle fabbriche esistenti al sud, allora più numerose e sviluppate di quelle del nord, a vantaggio delle attività produttive settentrionali, e ancora leva obbligatoria e violenze contro gli oppositori, praticate dai soldati lombardi e piemontesi del regio esercito incendiando paesi, deportando, stuprando. Non molto diversamente nel secondo dopoguerra, braccia del sud hanno fatto funzionare le fabbriche del nord e i governi democristiani hanno mandato migliaia di emigranti a morire nelle miniere belghe ed europee, cittadini del sud, uomini che con la vita, il sangue e il sudore hanno garantito al nord il carbone per far ripartire le industrie e permettere lo sviluppo economico degli anni ’60.
A Rionero si arriva oggi attraversando per lunghe ore la Puglia e la Basilicata in treno, partendo da Bari, perché i presidenti del consiglio nati al nord e i loro alleati, anche in anni recenti, si sono dimostrati abilissimi a insultare il sud, ma le infrastrutture non le hanno mai costruite, così l’aeroporto più vicino a Rionero, su cui ci sia un volo da Milano, è quello di Bari e intanto qualche razzista del nord può continuare a dire che il sud non funziona “per colpa sua”.
Al liceo scientifico, grazie alla collaborazione dell’amico Armando Lostaglio, infaticabile cinefilo e promotore di esperienze culturali in una terra che ama, la sua, e che non sempre gli riconosce l’entusiastica dedizione che lo anima, mi aspetta la professoressa Anna Rosa, di sentimenti progressisti e di disponibilità grande e generosa, la quale ha accettato di assumersi la responsabilità del progetto di laboratorio teatrale a cui hanno aderito dieci sue studentesse e che sono chiamato a realizzare. Con loro iniziamo a vivere insieme, ora dopo ora, minuto dopo minuto, per quattro giorni, mangiando quando capita qualche panino e pezzi di pizza coi pomodori, buonissimi, anche se continuo a non ricordarmi come si dicano in dialetto, sebbene le ragazze me lo abbiano ripetuto più volte. Stiamo insieme dalla mattina fino a quando i collaboratori scolastici non ci fanno capire che è ora di chiudere il portone.
È un’esperienza difficile da raccontare, anche per me, a cui di solito non mancano le parole. L’intensità delle emozioni, la carica di umanità che ci regaliamo, è il segno che la libertà creativa, educativa, relazionale, genera sempre un sentimento grande, che apre il cuore, permette reciprocamente di capirsi, di conoscere, di imparare.
Il mio compito è quello di realizzare un laboratorio teatrale dedicato ad una grande donna del Novecento, Anna Seghers, scrittrice e rivoluzionaria. Come il solito non so quale sarà il risultato. Anche perché il vero risultato è sempre il percorso, il cammino che si fa insieme, in questo caso le ragazze ed io. Sono felice di lavorare con loro. Anna Seghers ne sarebbe entusiasta, lei che si è sempre battuta perché fossero riconosciuti spazi di espressione e di partecipazione delle donne.
Metto loro in mano molte fotocopie di opere di Anna, qualche testo lo leggiamo insieme, gli altri le invito a leggerli a casa, a scoprire la bellezza dei suoi pensieri, da quelli a me più cari: “qualcosa di nuovo, di forte, di selvaggio, senza gioia non si può vivere”, “non sempre è facile ma ciascuno di noi è chiamato a rispettare i sogni della sua giovinezza”, a quelli che riscopro perché piacciono loro: “Dalla realtà scaturiscono i sogni e i sogni si radicano dentro i cuori”, scelto da Terry, che diventerà il titolo del nostro spettacolo, di cui lei, con la sua determinazione focosa e gentile, sarà autrice del montaggio delle immagini e delle animazioni, a quelli sul tempo voluti da Paola: ”Si è abituati fin da piccoli ad aver ragione del tempo invece di arrendersi ad esso con umiltà” e “Avvertivo adesso uno scorrere smisurato del tempo che come l’aria non si poteva trattenere”. Paola porta due trecce lunghe proprio come Anna da giovane, anche se non trovo la fotografia che le rende tanto uguali su internet, mentre ne cerco molte, per proiettarle durante lo spettacolo. Paola ha un desiderio di scoprire e di conoscere il mondo che subito mi conquista e una voglia di essere parte dell’umanità che mi piace leggere nei suoi occhi, grandi, sinceri e profondi.
C’è Teresa che alla fine trova in sé il coraggio che merita e tira fuori una voce forte e chiara, senza leggere correndo, c’è Michela, sempre presente, anche se poi non può esserci domenica mattina quando andremo in scena e sabato, quando ci saluta, è tutta triste. C’è Serena, che davvero è serena e tranquilla e sorride sempre allegra e sorniona.
Ci sono Monica e Cristina che vincono la timidezza con una grinta sincera e inaspettata, anche se con una grande differenza, a Monica la paura passa cinque minuti dopo, a Cristina cinque minuti prima, Monica vorrebbe fare tante cose e si agita, Cristina vorrebbe fare tante cose, ma pensa che forse può aspettare ancora un po’. C’è Antonietta che si muove con gesti delicati e Carmen, che si sente bruciare dentro un grande desiderio di giustizia e di uguaglianza. vuole leggere a tutti i costi una frase di Che Guevara, anche se pensa che suo padre magari un po’ si agiterà e a me viene, inesorabilmente, quando la sento, di alzare il pugno.
C’ è Alessia che s’impone e decide che le mie parole, scritte a conclusione della biografia di Anna, devono chiudere lo spettacolo, perché Alessia, dietro l’aria serafica, dietro gli occhiali seriosi, nasconde una volontà decisa e risoluta, vuole leggere di una vita impegnata dentro “un disordine bello e variopinto”, perché anche lei, come Anna, si sente sinceramente antifascista.
Ci incamminiamo così dentro le pagine che raccontano l’avvento del nazismo e di chi ha cercato di contrastarlo, conosciamo la fermezza e la libertà degli oppositori, come le donne del campo di concentramento di Ravensbruck “che hanno esposto i loro corpi esili e fragili per difendere noi”. Passano le ore e realizziamo un sogno di Anna, “respiriamo alla luce delle parole”. Anche perché le ragazze accettano il mio invito a dire quello che vogliono, a fare quello che vogliono, a vivere quest’esperienza come una possibilità per esprimersi senza vincoli, senza restrizioni, senza regole, nella più totale e assoluta libertà.
La domenica mattina, sfidando il soffio freddo del vento invernale di oltre metà dicembre e un cielo gonfio di nubi grigie, andiamo in scena, con emozione, con un risultato straordinario per capacità comunicative, toccante per i presenti, a partire dal dirigente scolastico, la professoressa Cervellino, eppure le ragazze hanno recitato per la prima volta nella loro vita.
Dopo lo spettacolo chiedo a ciascuna di loro almeno un aggettivo per raccontare questa esperienza, questo laboratorio teatrale nel quale hanno dato prova pregevolissima ed entusiasmante di loro stesse e della loro libertà. Mi regalano aggettivi che mi fanno tremare dalla gioia: incoraggiante, inaspettato, spontaneo, divertente, sorprendente, coinvolgente, educativo, travolgente, entusiasmante. C’è anche chi a ragione sottolinea: “al femminile”, perché sono soltanto le ragazze ad aver voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo, ad essersi lanciate in questa avventura.
Emozionato, guardo fuori dalla finestra e capisco, loro e i loro sorrisi sono un regalo, un regalo di Natale con qualche giorno d’anticipo, ma neanche troppo, perché sulla cittadina del Vulture sta fioccando, bianca e lieve, la neve.
Rionero in Vulture – Milano, 14/18 dicembre ’11