Luis Corvalan
Compagno e fratello
di Davide Rossi
Quando nel 1976 viene liberato dai campi di tortura e di morte organizzati dal dittatore Pinochet il segretario del Partito Comunista Cileno, Luis Corvalan, raggiunge Mosca, dopo essere scambiato a Zurigo con Valdimir Bukovsky un presunto scrittore “dissidente”, in realtà un mediocre e miserevole pennivendolo che, allora come oggi, agisce in favore dei servizi segreti inglesi in funzione antirussa. Corvalan presto è acclamato dalle donne e dagli uomini, dai ragazzi e dalle ragazze di tutta Europa e inizia a vistare città e nazioni del continente. A Berlino, nella DDR, l’accoglienza è grande, affettuosa, trionfale. Luis Corvalan risponde come nella sua natura, con garbo, gentilezza, disponibilità, amicizia. Tra chi lo festeggia la presidentessa dell’Unione degli Scrittori Anna Seghers. Anche lei ha versato lacrime profonde per la fine della straordinaria esperienza di Unidad Popular. Un mondo irripetibile, un’avventura stroncata solo con la violenza della dittatura. Indimenticabile il Cile guidato da quell’uomo, Salvador Allende, con occhiali spessi e molte passioni, per le belle ragazze, per la buona tavola, per i gelati al cocco. Luis Corvalan è amico e compagno in quella stagione rivoluzionaria e democratica del presidente socialista, sono i comunisti a sostenere il presidente ben più del suo partito, guidato da giovani maldestri ed avventurosi che invocano una presa totale del potere, difficile e impossibile, capaci solo di frantumare la fragilità dell’equilibrio politico, sociale e costituzionale che reggeva la sinistra al governo. Luis Corvalan lo ho abbracciato, impossibile dimenticarlo. Un uomo mite, aperto, cordiale, nell’ultimo anno del Novecento, sotto le Ande, a casa sua, abbiamo cenato insieme al termine di un lungo e soleggiato pomeriggio dell’estate australe, segnato dai suoi libri, che mi regalava e tuttora conservo con dedica, dai racconti di una vita rivoluzionaria, dalle risposte alle mie molte domande, mentre mi incoraggiava nel mio lavoro di insegnante di storia. Intensa la gratitudine che mi ha manifestato nel ricevere il libro “Cile democrazia sofferta”, il mio primo libro, uscito in Italia nel ’97, portato al Festival Mondiale della Gioventù nello stesso anno all’Avana e regalato alla delegazione dei giovani comunisti cileni, poi da loro tradotto come dispensa universitaria, perché allora in Cile degli anni di Allende e della dittatura non si poteva ancora parlare, né scrivere. Neppure, in quell’estate ’99, bere una birra per strada era permesso, si finiva in carcere, ricordo i giovani comunisti cileni che mi saltano affettuosamente addosso per coprire quel mio inconsapevole reato commesso su un marciapiede della captiale.
Luis Crovalan nasce a Puerto Montt il 14 settembre 1916, insegnante elementare, giornalista, aderisce al partito comunista, fondato da Luis Emilio Recabarren e segue tutte le sorti del partito, espulso e riammesso nella legalità secondo i venti della politica internazionale. Nel secondo dopoguerra l’inizio è promettente, i comunisti raccolgono il 22% alle amministrative del ’47, il cantore dell’ “ora felice dell’assalto e del bacio”, il comunista Pablo Neruda, suo caro amico, è senatore della Repubblica. Ma la guerra fredda è scoppiata. I comunisti condannati per i loro ideali. Corvalan internato nel campo di prigionia di Pisagua. Nel ’58 il partito torna a potersi esprimere e ne diventa segretario. Lo sarà sino al 1990. È tra i promotori della stagione di Unidad Popular. Un’esperienza politica straordinaria e difficilmente raccontabile, chi l’ha vissuta spesso non trova le parole o le trova a grande fatica, sente che la gioia e il sogno, la vita e il sorriso, sono difficili da far rivivere tanti anni dopo. I giovani lottavano nel mondo, i cattolici chiedevano giustizia ed uguaglianza. Il vescovo di Santiago del Cile Raul Silva Herniquez con discorsi pacati e al contempo potenti scuoteva coscienze, gettava semi. Non a caso in Cile sono nati i “cattolici per il socialismo” e giovani, pieni di fede nell’uomo che è fratello, hanno dato vita all’Izquierda Cristiana e al Movimento di Azione Popolare Unitario (MAPU) a fianco di Allende. Con Corvalan collabora l’infaticabile segretaria dei giovani comunisti, bella, intelligente, affascinante, con un sorriso che conquista anche i più dubbiosi, con un’energia che travalica l’immaginabile, trascina ed entusiasma: Gladys Marin. Dopo le piaghe della dittatura Gladys, persi gli amici, le amiche, il marito, tutti scomparsi, guiderà il partito, dopo il breve passaggio alla segreteria di Volodia Teitelboim, in quegli anni ’90 la sua voce sarà quella indelebile del ricordo, del desiderio di giustizia, di chi non ha rinunciato alla gratuità delle relazioni umane, di chi non si è lasciato sopraffare dal mercimonio di ogni rapporto instaurato dal consumismo capitalista e forsennato, applicato con scientifica esclusione sociale da Pinochet.
Nel ricordare Corvalan il pensiero corre anche ai tanti comunisti che ho conosciuto in quei miei giorni cileni. A Valpariso, dove ad esempio molti vivevano integrando le misere pensioni cilene con la liquidazione conseguita in quindici anni di lavoro nelle fabbriche della DDR, durante l’esilio. Valparaiso è bellissima, d’estate con luci, colori, mare, vento tenue e caldo che probabilmente d’inverno si rivela perfido e tormentoso. Valparaiso è colline e case, dignitose ed umili, di legno, in un eterno saliscendi, correre a perdifiato è possibile ma anche pericoloso, risalire lento e arduo, intorno volti e nuvole, e dall’alto le barche e il porto, dove incredibile ma vero capita di vedere, gatti e gabbianelle insieme, come nelle pagine di Luis Sepulveda. La notte è stellata e più grande che mai, le stelle sono quelle che si vedono dall’altra parte del mondo, vere e irreali, universi desueti per occhi europei, il cielo blu profondo, con due amici professori di musica mal pagati, su quella terrazza, nella casa di un ebanista comunista, abbiamo cantato, anzi hanno cantato loro per me le parole di Silvio Rodriguez e quando sono arrivati a cantare la canzone che più amo, “La maza”, l’emozione e le lacrime han confuso ogni sguardo, unendo stelle e mare.
È la stessa emozione e sono le stesse lacrime di ora, alla notizia della scomparsa di Luis Corvalan. Sino all’ultimo ha portato in giro per le vie di Santiago il suo sorriso, calmo, riflessivo, intenso. Ha visto nel dicembre 2006 la fine miserevole e senza condanna dell’assassino di suo figlio e di tanti cileni, ma probabilmente anche per lui quel giorno di sole e di luce per il Cile, la morte di Pinochet, ha lasciato più amarezza per il dolore incancellabile che il sanguinario e vile generale ha seminato, ben più del sollievo per la scomparsa dell’autore di tante crudeltà. La più grande responsabilità di Pinochet è quella di aver cercato di uccidere il sogno, seminando paura, uccidendo ogni uguaglianza, promuovendo ogni sopraffazione. Ma il sorriso di Luis Corvalan, tra ciocche e baffi da tempo immemorabile candidi, ci hanno insegnato che i sogni non si possono uccidere, a patto che trovino chi non ha rinunciato e nutre e vive quell’entusiasmo che ci porta ogni giorno ancora come fratelli per le strade del mondo. Ciao Luis, ti sia lieve la terra, le tue idee sono nei nostri cuori e quella bandiera rossa, che hai tenuta alta per novantatre, quasi novantaquattro anni, è ancora la nostra. Grazie.