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Leggo su “Liberazione”, senza condividerle, critiche rivolte ad un giovane dirigente di Rifondazione, Simone Oggionni, per aver espresso l’opinione che la caduta del muro di Berlino non sia un buon simbolo per i comunisti. Ho letto gli interventi del direttore Sansonetti e di Rina Gagliardi, e pur nel rispetto di idee differenti, dissento fortemente da entrambi. Nella mia qualità di direttore del centro studi “Anna Seghers” mi sento di proporre alcune considerazioni.

In quel novembre del 1989 ho compiuto diciotto anni, ero appena stato eletto nel consiglio di istituto del Virgilio di Milano, la nostra “lista culturale”, questo il nome, creata contro le altre tre che da anni dominavano la scuola, quella anomala che univa fascisti e arrivisti, quella dei ciellini e quella residuale “Ribellarsi è giusto”, abbiamo ottenuto tutti e quattro i seggi. Era il tempo triste della “Milano da bere” e dei “fighetti”, noi abbiamo portato a scuola dibattiti sul Cile, stava finendo la dittatura, con una studentessa di ritorno da Santiago e ancora con il console sudafricano, mentre Mandela, febbraio 1990, ritrovava la libertà. Intanto la DDR crollava. Ricordo che anche io ho partecipato ad una manifestazione studentesca per “festeggiare” l’avvenimento, nel mio archivio ancora devo avere copia dei quotidiani di quei giorni. Oggi che insieme a tanti, come docente, lotto dentro l’Onda, di quella mia manifestazione del novembre ’89 mi vergogno e chiedo scusa. Cercherò di spiegare perché. Dall’estate del 1991 per diversi anni, mentre studiavo Lettere, ma soprattutto storia, all’università, ho viaggiato per tutto l’Est. Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia (allora si chiamava così) e dentro quegli stati che erano sorti dall’Unione Sovietica: Estonia, Ucraina e soprattutto Russia, con il mio russo precario e accidentato e oggi purtroppo quasi dimenticato. Più tardi ex – DDR, Albania, i mille rivoli della ex- Jogoslavia, … Viaggiavo per ostelli, ospite di russi, polacchi, …, di giovani italiani che avevano lasciato un bigliettino attaccato ad un pannello della Statale offrendo ospitalità per l’estate, a indirizzi trovati per caso da inserzioni su “Avvenimenti”, rivista che leggevamo, come “Cuore”, nella stagione della nostra rabbia contro la tangentopoli di allora. A ripensarci, io e i miei coetanei, faremmo ridere i diciottenni di oggi, noi, senza internet, senza mail, senza cellulare. Il viaggio, i viaggi, soprattutto verso Est, erano delle vere e proprie avventure, con qualche contante in tasca e molta buona volontà. Di ritorno da ogni viaggio sono stato attraversato da una furia matta che mi ha portato a studiare e a conoscere la storia di quei paesi socialisti. Lo confesso avevo creduto al segretario generale del PCUS, Gorbaciov, che aveva scritto in un suo libro “Casa comune europea”, bello e del tutto irrealistico, che avremmo messo insieme il meglio dell’Occidente, le libertà e i diritti civili, e il meglio dell’Est, le libertà e i diritti sociali. Nel 1989 non c’era in Occidente crisi come oggi, ma le preoccupazioni di noi giovani occidentali erano il lavoro difficile da trovare e mal pagato, la casa sempre più costosa e inarrivabile, i costi crescenti per la cultura, la scuola e la sanità. Tutto questo a Est, sino a quel 1989 era garantito, per carità, tra mille limiti e incongruenze, ma garantito. Eppure io mi sforzavo di credere che la “casa comune” fosse una buona idea, ma i viaggi, di anno in anno, smentivano Gorbaciov e le mie convinzioni. A Est sempre più poveri, sempre più disoccupati, sempre più tristi e non parlo di persone astratte, non faccio macro-analisi sociologica, parlo di ragazzi in carne ed ossa, come me, che se nel 1991 si esaltavano per tutto quello che odorava d’Occidente, tra il nostro stupore e il nostro invito alla cautela, tre anni dopo mostravano sguardi opachi, perplessi, rassegnati. Se uno di loro si era arricchito, ci era riuscito fregando gli altri.
Il mito pure della “libertà di stampa” occidentale vacillava, milioni di libri stampati, migliaia di film girati, una ricchezza espressa per anni dai paesi socialisti, era scomparsa, la censura del denaro si era mostrata per quello che è, più grande e peggiore di quella del partito. Pure i cosiddetti “dissidenti” di prima ora non servivano più alla propaganda occidentale, ne ricordo uno moscovita, che consolava con la vodka, in una serata da amici comuni, in un quartiere della periferia meridionale di Mosca, quello che lui riteneva “un tradimento” dell’Occidente.
Negli stessi anni mi documentavo sulla libertà dell’Occidente. Ho scoperto che non era e non è poi così autentica, potrei citare decine di scrittori che il nostro Occidente censura ferocemente nel 1989, come nel 2008. Anna Seghers, è una di loro, presidentessa degli scrittori della DDR, ha costruito quella nazione dopo l’esilio, dopo che i nazisti hanno cercato di ucciderla e hanno bruciato i suoi libri nel rogo del 10 maggio 1933 a Berlino. Di Anna Seghers il nostro centro studi edita qualche libro, ci rimettiamo di tasca nostra, lo facciamo perché crediamo nella libertà, perché ci piace vedere chi ha quindici o diciotto anni oggi, mettere in tasca un suo libro. Eppure alcuni testi di Anna sono di tale bellezza che potrebbero interessare qualche editore occidentale, ma qui nel mondo libero, accade molto, molto raramente. Noi la editiamo perché frequentando spesso Berlino e in particolare la parte orientale di quella città, conoscendo, ascoltando tanti amici che di quella nazione, la DDR, hanno fatto parte scopriamo quello che non si vuole dire o ricordare.
I muri sono sempre odiosi e vanno tutti abbattuti, ma quello di Berlino, certo tra i più disgraziati della storia, ha una vicenda tanto complessa che occorrerebbe un libro, che vorrei scrivere, ma che poi non scrivo mai perché tanto non lo pubblicherebbe nessuno.
Intanto la Germania Ovest nel 1945 aveva mantenuto funzionari, docenti, militari nazisti ai loro posti, la DDR no, allontanandoli. Anna Seghers o Bertolt Brechet quando tornano dall’esilio non hanno dubbi, scelgono di vivere in DDR.
Berlino Ovest è stata poi l’arma pacifica con la quale l’Occidente ha vinto la guerra fredda. Non solo per i negozi stracolmi di prodotti e tenuti volontariamente a prezzi più bassi che nel resto della Germania Ovest, ma è stata la sola città in cui i ragazzi che fossero scappati da Est avrebbero potuto evitare il militare, obbligatorio nelle due Germanie. Berlino Ovest era la città in cui i medici della DDR potevano esercitare la professione con stipendi astronomici e pochissimi pazienti, un grande incentivo alle fughe. Nella primavera del 1961 diverse bombe scoppiano a Berlino Est, messe dai servizi segreti occidentali con basi a Berlino Ovest, le più sanguinose in un mercato di quartiere e all’università Humboldt. Altro problema per i cittadini di Berlino Est, la spesa, infatti le cameriere dell’Ovest venivano mandate a est di buon mattino per fare incetta di frutta e verdura di migliore qualità e buon prezzo, le massaie di Berlino Est nell’agosto del 1961 hanno organizzato vere e proprie manifestazioni di gioia, spontanee, per l’erezione del muro.
Può bastare questo per giustificare il muro? Certo no, ma dalle massaie arrabbiate, alle bombe sanguinarie piazzate dall’Ovest, alla libera circolazione tra le due Berlino che favoriva la “campagna acquisti” dei laureati provenienti della DDR, “acquistati” e pagati lautamente per un lavoro minimo, ma utili per sbandierare il concetto chiave della guerra fredda: la libertà dell’Occidente contro la repressione dell’Est, tutto giocava, in quella guerra, che guerra è stata, anche se fredda, a svantaggio della DDR.
In un altro mio viaggio, questa volta dall’altra parte del mondo, nel febbraio 1999, ospite dei giovani del partito comunista cileno, conosciuti a Cuba nel 1997 al Festival mondiale della Gioventù, ho incontrato donne e uomini che grazie alla DDR hanno trovato scampo alla dittatura fascista di Pinochet e grazie ai soldi ricevuti nel 1989 dalla DDR, come liquidazione dopo avervi lavorato per 15 anni, avevano una possibilità di integrazione delle misere pensioni del Cile liberista di dieci anni fa. Dire DDR per loro era parlare di una seconda patria e avevano le lacrime agli occhi. A Milano la compagna Carla, che oggi lavora in bar adiacente al Piccolo, può raccontarvi delle sue estati nei campi dei pionieri della DDR, con emozione uguale ad allora, qurant’anni dopo.
La DDR, mentre la Germania Ovest intratteneva scambi commerciali con i politici razzisti del Sudafrica (la Baviera negli anni ottanta era il primo partner per scambi commerciali della nazione dell’apartheid), inviava aiuti di ogni tipo a Cuba e ai sandinisti in Nicaragua, ricevendone caffé, zucchero e banane, assolutamente “eque e solidali”, come diremmo oggi.
Trovo allora che parlare male della DDR e dei paesi socialisti, definirli come il direttore Sansonetti “un sistema di dittature”, sia una semplificazione dannosa per provare a riflettere sul passato. Torno a ripetere che con questo non voglio giustificare il muro di Berlino, ma ci sentiamo in obbligo, almeno noi del centro studi, di restituire la complessità di luoghi e avvenimenti che anche Rina Gagliardi, parlando dell’autostrada che veniva da ovest, sembra non voler prendere in considerazione. La notte del 9 novembre 1989 e quelle dei giorni seguenti, la metà di Berlino Est che non si è mai riconosciuta nei valori del socialismo ha invaso Berlino Ovest, comperato e festeggiato l’accesso al consumismo. Credo che i comunisti, come coloro che si iscrivono a Rifondazione, debbano ricordare quell’altra metà di berlinesi di quella mezza città che era la capitale della DDR, che in quei giorni non festeggiavano e non hanno festeggiato nei giorni e negli anni seguenti. La storia della DDR non è la storia del paese degli orrori, è la storia dolorosa e complessa di un pezzo di Germania che tra mille contraddizioni ha provato a fare, forse malamente, forse riuscendoci o forse no, il socialismo. Ma questo è un interessante tema di ricerca storica, uno tra i tanti che noi del centro studi cerchiamo di condurre, ci pare che il muro e la DDR abbiano poco a che vedere con la quotidianità politica.
Il muro che cade a Berlino nel novembre 1989 e sancisce la fine della DDR tuttavia non mi pare possa essere annoverato tra i simboli per coloro che in cuor loro credono nei valori di giustizia, uguaglianza e fratellanza. La caduta del muro di Berlino ha portato con sé problemi, ambiguità, speranze deluse e sogni traditi. È forse, insieme ad essere il simbolo della vittoria della destra liberista sul nemico storico del socialismo, più o meno di aderenza sovietica, nella guerra fredda, il simbolo di un’Europa che non ha saputo diventare subito, nei giorni di allora, Europa dei popoli e che oggi tanto fatica e arranca per affermarsi come tale. Non mi azzardo ad entrare nel merito di socialismo e comunismo, idee meravigliose e ancora più grandi, ma se possiamo discutere e approfondire quale sia stata eventualmente la loro relazione con la DDR, di un fatto sono sufficientemente convinto, comunismo e socialismo non abitano le macerie del muro e della DDR.

gennaio 2009

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