Se si è onesti bisogna ammetterlo: peggio di così non poteva andare. La sinistra è scomparsa dal parlamento, sta per nascere il primo governo della storia della Repubblica che non tiene neppure Casini dentro, ma il partito della Mussolini, aderente al popolo berlusconiano, sì. Ora non si tratta di gettar colpe a destra a manca, ma di riflettere su quanto accaduto. Diciamolo pure, la banda dei quattro, Mussi-Diliberto-Pecoraro-Giordano, ha fatto il possibile sbagliando molto, incapace di mostrarsi veramente unitaria, incapace di trovare un ragazzo o una ragazza che ci rappresentasse, ha preferito attaccarsi a Bertinotti, che, per dirne una, saluta il Dalai Lama, messo in croce pure dall’ambasciatore Sergio Romano, non solo da Vattimo e Canfora.
Sempre Bertinotti e la banda dei quattro hanno inseguito il vento idiota dell’attacco a Prodi. Certo i passi a sinistra non si sono potuti compiere per i mille motivi che consociamo, ma Romano Prodi ha rappresentato il governo più avanzato possibile, quello ad esempio che faceva pagare le tasse agli evasori. Tutti contro di lui invece, quando proprio la sinistra avrebbe dovuto dirlo e gridarlo: Prodi, con tanti limiti imposti dai vari Mastella di turno, è stato il più serio e il più progressista. Ancora in politica estera la rincorsa della sinistra alle posizioni dei cosiddetti “democratici” poco ha giovato. Siamo stati capaci di ribadire la nostra contrarietà alla guerra, giusto, ma mi pare il minimo. La banda dei quattro e Bertinotti nulla hanno detto sui temi che agitano il mondo, sul Sudamerica che nel solco di Chavez, Correa, Morales si chiama fuori dalle logiche di asservimento, in questi giorni pure in Paraguay, in cui il vescovo compagno Lugo è stato eletto presidente dai poveri e dal popolo, sul lavoro globalizzato e sfruttato, a cui si sono ribellati recentemente i vietnamiti di una grossa multinazionale, piegandola al loro volere. Neppure una riflessione poi, più o meno articolata, sul Nepal, diventato repubblica con la maggioranza assoluta dei voti capaci di premiare un partito comunista maoista, non dico per vivacizzare la campagna dell’Arcobaleno, ma per interrogarsi su come il mondo si stia ribellando ad una normalità che non esiste oramai da nessuna parte, se non nei sogni di Veltroni. Veniamo appunto alle responsabilità più grandi del disastro democratico del nostro paese, di cui massimo artefice è Veltroni. Per carità, tanto bravo a promuovere il sogno di una società normale, ma inseguendo senza alcun criterio i suoi sogni, è stato capace di costruire il più straordinario incubo del dopoguerra italiano. Abbatte Prodi delegittimandolo, lo abbandona quando si profilano le elezioni, invece di fare l’impossibile per un nuovo governo guidato dal professore. Va in Veneto, candida il peggiore imprenditore, sostenitore tra l’altro dello “sciopero fiscale”, sbeffeggia la Lega e gli abiti medievali dei figuranti dei comizi di Bossi e porta quel partito in quella regione a quasi il 30%, perché gli elettori moderati e di destra, a scanso di possibili “inciuci” ed accordi “bipartisan”, hanno preferito sostenere chi, in spregio ai diritti dell’uomo, promuove il razzismo e la xenofobia, ma garantisce totale distanza dall’avversario. Il Pd intanto raccoglie il 33% dei voti, ovvero gli stessi identici della lista Ulivo di DS e Margherita del 2006, ma con una tragica differenza: un bel 6/7% se ne è uscito a destra verso Casini e Berlusconi e pure la Lega. Lui, Veltroni, quel 6/7% lo ha recuperato a sinistra, costringendo, con il ricatto del voto (in)utile un paio di milioni di donne, uomini, ragazze e ragazzi che fino a ieri votavano le forze dell’Arcobaleno, a sostenere candidati come il giovane imprenditore, figlio di papà, Colaninno e tanti altri bei candidatini così, tanto a garantire gli elettori ci avrebbe pensato lui, Veltroni, con il sogno. Ma nel giro di pochi mesi il sogno del comizio di Spello è diventato la certezza di un quinquennio berlusconiano dei peggiori, pronto ad aprirsi a collusioni con i poteri invisibili e più dannosi per il paese, tagli a tutto, a partire dai salari, allegro ritorno all’evasione fiscale, scuola privatizzata e depauperata, criminalizzazione di chi scenderà nelle piazze. Preventiva, ovvio. Un senatore a vita infatti straparla di terrorismo tra i sindacati, tanto per criminalizzare chi vuole e vorrà protestare contro progetti liberticidi, ripeto, semplicemente manifestare, perché, per il momento ancora, manifestare è un diritto costituzionale e una bandiera rossa da sventolare è ancora una libera scelta non soggetta a reato, senza che insulti e paragoni idioti con le pistole cadano in testa a chi in un mondo ingiusto non si riconosce e quella bandiera vuole tenere in mano.
Veltroni nel suo sogno divenuto incubo si ritrova pure a fare l’estrema sinistra parlamentare, dando a Casini tutto il margine di recuperare gli scontenti di entrambe le forze maggiori.
Inoltre Veltroni dovrebbe riflettere sul fatto che agitare un sogno in “cui tutti domani staremo meglio” mentre la crisi economica non è dietro l’angolo ma tra noi, ora e subito, ha messo in fuga altri elettori del presunto centro, consapevoli che nelle parole di Tremonti e Berlusconi c’era più senso della realtà sui temi economici, senza reticenze sulla recessione incipiente.
Qui ancora una volta la sinistra ha detto pochissimo, nessuna riflessione sul declino ineludibile e irreversibile del sistema occidentale, nessun dibattito sulla decrescita, solo vaghe parole sullo “zapaterismo”, inteso come diritti civili e qualche soldo in più per i lavoratori. Ma pure la Spagna è prossima alla recessione e alla crisi economica, come tutta l’Europa, con l’aggravante di aver fondato gli anni passati solo sulle grandi opere, l’edilizia e mutui pazzeschi di cinquanta anni per i cittadini.
A gennaio ho scritto un ampio intervento in merito alla crisi (“2008, le nubi sul declino del sistema occidentale” http://www.aurorarivista.it), non mi ripeto, ma non immaginare il futuro significa condannarci a subirlo.
Da dove e da cosa partire? Non ho risposte o certezze da offrire, cercare di essere seriamente e sinceramente di sinistra potrebbe essere un buon inizio. I due mesi delle campagna elettorale hanno offerto almeno una novità: le ragazze e i ragazzi, quattordici, quindici, sedici anni. Protagonisti di una richiesta di riscatto. A colpi di uova e pomodori sono scesi in piazza non solo contro Ferrara, ma anche contro l’assessore Landi di Milano che vuole testarne violentemente il consumo di stupefacenti, contro esponenti della destra che inneggiano alla dittatura fascista. Sono nelle strade, nelle piazze, sono pacifici, ma sono mossi da consapevolezza, senso di responsabilità, da uno straordinario sentimento di dignità e di civiltà. Loro, non altri, rispondono tanto a chi rivolge loro idiote condanne moralistiche e ugualmente a un silenzio impressionante, che reputa tutto possibile, tutto democraticamente sopportabile, comprensibile, tollerabile, anche il grido “duce, duce!” dei sostenitori di Storace, un atteggiamento sconsiderato, a cui i ragazzi, che riconoscono ancora la differenza tra vergognosa prevaricazione e senso di umanità, si ribellano, infischiandosene delle prediche del quotidiano “Repubblica” e degli ammonimenti buonisti e stupidi del partito di Veltroni. Loro, i ragazzi, che sanno e percepiscono il duro futuro che li aspetta, con meno lavoro, meno sicurezze, meno tutele, loro che si riconoscono oltre le appartenenze ideologiche, ma sono naturalmente contrari ad ogni forma di autoritarismo, sociale e culturale, loro che reputano insopportabile tutta la classe politica, compresi i finti nuovismi veltroniani, ma hanno deciso di non assistere inermi al fascismo dichiarato e non condannato per quello che è, ovvero apologia di reato, e nel contempo hanno deciso di rispondere all’aggressione ferrariana ai diritti civili. Nessuno potrà accampare il diritto di essere voce o espressione di questi giovani. Loro agiscono, non delegano, per parte nostra – e certamente mia – sento e sentiamo solo il dovere e l’importanza di metterci al loro fianco, sapendo che loro sono la sola novità, autenticamente politica, di questi giorni, di quest’Italia che si appresta alla restaurazione e alla devastazione di un ennesimo governo berlusconiano, il quarto. Sulla questione generazionale certo mi piacerebbe immaginare un patto, sincero, paritario, tra questi quindicenni e una parte della società italiana rappresentata da noi, nati sul finire degli anni sessanta e negli anni settanta. Sì, perché la loro rabbia mi piacerebbe si incontrasse con la nostra. Noi, zittiti da sempre, perché ovunque, dalla politica al lavoro, dalla scuola alle realtà della società, quando avevamo vent’anni non contavamo perché contavano quelli con almeno il doppio dei nostri anni e ora contano sempre quegli stessi, con qualche anno di più, quelli che ci hanno escluso nel corso degli anni novanta e di questi primi anni duemila, con la sola variante che si appoggiano, ora che di anni loro ne hanno cinquanta o sessanta, ai ventenni o agli appena trentenni per mascherare un finto cambiamento, in cui come al solito nulla cambia. E questo anche e molto dentro la sinistra. Eppure noi siamo tanti, nelle scuole, negli uffici, nel lavoro precario e maltrattato. Questo sento di dire. Non ho soluzioni o percorsi già immaginati, ma credo che una strada sia possibile. Ci unisce la rabbia contro metodi e comportamenti che non condividiamo e non accettiamo. Se ciascuno è chiamato a fare la sua parte, io non smetto, anzi continuo, a fare per quanto possibile la mia, come docente, come sindacalista, come direttore di un giornale on line e ugualmente direttore di un centro studi. Il domani mi sembra sempre più denso di nuvole, ma forse un incontro può avvenire. Credo che noi trentenni qualche idea ce l’abbiamo, ma i quindicenni, che scendono nelle piazze, ne hanno più di noi. Con reciproco rispetto, ascoltandoci, possiamo probabilmente agire insieme.
Davide Rossi, direttore
Binche, nei giorni del 25 aprile 2008 – 63° anniversario della Liberazione, della vittoria partigiana che ci ha dato l’Europa libera, la Repubblica e la Costituzione