Nel 50° anniversario della scomparsa del grande poeta italiano Umberto Saba il Centro Studi “Anna Seghers” promuove a Trieste – nella giornata del 25 agosto – un momento di memoria presso la libreria Umberto Saba di via San Nicolò 30 alle ore 10.00.
Parteciperanno:
Davide Rossi, direttore Centro Studi “Anna Seghers”
Mario Cerne, proprietario della libreria antiquaria “Umberto Saba”
Emilio Sabatino, vicedirettore del mensile aurorarivista.it
nell’occasione verrà presentato il saggio curato dal Centro Studi ed editato in collaborazione con ALEA Edizioni di Milano dal titolo: Trieste nella poesia di Umberto Saba con interventi di Rossi, Cerne, Sabatino, Emanuele Scotti e Stefano Fregonese.
25 agosto 1957 – 2007
Nel 50° anniversario della scomparsa del grande poeta italiano Umberto Saba
di Davide Rossi
direttore Centro Studi “Anna Seghers”
Umberto Saba nasce a Trieste il 9 marzo 1883. La sua voce si è levata, lieve e profonda, sin dai tempi della sua giovinezza, moderna, psicologica, profondamente intessuta nella storia della sua città e del Novecento, di quella prima, complessa e turbolenta parte del secolo. Trieste è all’epoca una fiorente città che parla molte lingue, quella italiana del poeta, ma anche sloveno, tedesco, greco, serbo, turco, soprattutto il dialetto, lingua di socializzazione, di scambio, umano ed economico. Trieste è città di mercati e di mercanti, è porto dell’Impero di Vienna. Un impero secolare, austrungarico, che dal 1382 ha fatto di Trieste la sua via per mare verso il mondo. Allora austriache sono Trieste e Cracovia, Leopoli e Praga. L’Ungheria inizia a Fiume e si perde nelle terre ben al di là del fiume Dniestr. La poesia di Saba, di tanta vastità, di spazi, di pensieri, di orizzonti, intende cogliere la bellezza di una città, di cui si sente imprescindibilmente parte. In Da un colle, del 1902, scritta a diciannove anni: “Era d’ottobre; l’ora vespertina di pace empiva e di dolcezza il cuore. Solitario il sentier della collina salivo dietro un bue e un agricoltore. Giunto alla vetta scorsi in un fulgore Trieste colle chiese e la marina; e dell’amico, rossa come un fiore, l’amata casa sull’opposta china.” Quella città, la sua città, vive con sentimenti contrastanti il passaggio all’Italia, nel 1918, a epilogo della prima guerra mondiale. I primi entusiasmi s’affievoliscono molto rapidamente. La preoccupazione per l’incipiente fascismo si somma al perduto ruolo della città, non più centrale come nell’antico impero austrungarico, ma estrema periferia di un regno, quello sabaudo, costellato, da Genova a Venezia, da Livorno a Taranto, di porti, di cantieri e di mare. Trieste e i triestini assistono, ben al di là della retorica del regime mussoliniano, al lento e costante declino della città.
Nel 1919 il poeta acquista un “piccolo di antichi libri raro negozietto” in via San Nicolò. Da via San Nicolò Saba si fa osservatore di una città che convulsamente cambia, strattonata dalle camicie nere che bruciano, impongono, uccidono, stravolgono antiche culture da sempre convissute, abbattono quartieri, erigono nuovi edifici. Sono anni di revisione delle poesie del periodo prebellico e di nuove, intense scritture. Che a loro volta saranno oggetto di revisioni, riflessioni, ripensamenti e trasformazioni negli anni seguenti. Nel secondo dopoguerra, negli stessi mesi in cui manifesta viva simpatia per Palmiro Togliatti, soffre per la sorte di Trieste, divenuta Territorio Libero sotto controllo anglo-americano In quello stesso anno si accrescono i timori in Saba per il lento vanificarsi di tante speranze riposte nel vento della Resistenza. Teme la Democrazia Cristiana e l’abile riciclarsi in quel partito di tanti fascisti. Scrive Opicina 1947: “Risalii quest’estate ad Opicina. Era con me un ragazzo comunista. Tito sui muri s’iscriveva, in vista, sotto, della mia bianca cittadina. … Dopo il nero fascista il nero prete; questa è l’Italia, e lo sai. Perché allora – diceva il mio compagno – aver rimpianti?” Contro quella che definisce “la dittatura dei preti” aderisce per le elezioni del 18 aprile 1948 al Fronte della cultura popolare che sostiene la lista di Garibaldi formata da socialisti e comunisti. Prevede la sconfitta elettorale e vive i primi mesi del 1948 in uno stato di particolare agitazione. Il primo marzo ’48 scrive a Vittorio Sereni: “se da una parte vedessi i preti pronti a incensarmi e dall’altra il plotone d’esecuzione comunista, sceglierei ancora quest’ultimo”. Del 1951 è la brevissima e intesa Passioni, inserita nella raccolta “Quasi un racconto”: “Sono fatte di lacrime e di sangue e d’altro ancora. Il cuore batte a sinistra.” Rosse passioni che si fondono con l’amore tutto azzurro per Trieste. “Di Triste amo i suoi incantevoli aspetti di mare e di monti, le sue viuzze e il suo cielo azzurro.” Lo stupore, la bellezza e la meraviglia, appartengono alla poesia di Umberto Saba, come lui appartiene universalmente al mondo e a quella porzione di mondo che è Trieste. Un amore azzurro e ancora azzurro, perché questo, in tutte le sue tonalità, da quelle più celestine a quelle più vivaci, è il colore del cielo, del mare, del golfo, Trieste “azzurra, bella tra i monti rocciosi e il mare luminoso, di una scontrosa grazia”. L’amore di Umberto Saba per la sua città è senza limiti. Il 25 agosto 1957 il poeta si spegne a Gorizia.